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La Digital Dominance del software italiano: verso una nuova sovranità tecnologica per il Made in Italy

Scritto da Impresoft | Dec 3, 2025 10:57:25 AM

In un’azienda metalmeccanica del Nord Italia, un algoritmo ottimizza ogni giorno la produzione analizzando in tempo reale migliaia di parametri: tempi macchina, consumi, approvvigionamenti, performance di linea. Dietro quel software c’è un team di ingegneri e sviluppatori italiani che ha tradotto decenni di esperienza manifatturiera in intelligenza digitale. È qui che si gioca oggi la vera sfida della competitività: trasformare il sapere industriale italiano in tecnologia. 

La digitalizzazione è da sempre stata considerata una leva di incremento di produttività e competitività. Le aziende che la adottano migliorano l’efficienza e rafforzano la capacità di crescita e resilienza. La digitalizzazione tramite soluzioni nazionali è ancora più potente per incrementare la competitività: il sistema paese beneficia del rafforzamento di una industria nazionale a valore aggiunto – come quella del software e dei servizi tecnologici connessi.  

Negli ultimi dieci anni, la trasformazione digitale è diventata anche una importante leva geopolitica.  

La corsa all’intelligenza artificiale, ai semiconduttori e alle piattaforme cloud ha consolidato il dominio digitale di Stati Uniti e Cina, che oggi controllano gran parte dell’infrastruttura tecnologica mondiale.  

In questo scenario, l’Europa si trova in posizione di dipendenza: tra le prime 50 società tecnologiche globali per valore di mercato, solo 4 hanno radici europee.  

Per i policy maker e i leader industriali, questa non è solo una questione di competitività economica, ma di sovranità strategica. Il rischio è che la dipendenza da tecnologie extraeuropee si traduca in una vulnerabilità strutturale, limitando la capacità del continente — e dell’Italia — di controllare i propri dati, i propri processi e, in ultima analisi, il proprio futuro industriale.  

Investire quindi in software locali significa ridurre l’esposizione geopolitica e garantire la sicurezza dei dati industriali e delle catene di fornitura. 

Di fronte al presente scenario di crescente tensione geopolitica (e concentrazione del potere digitale globale), combinata con la necessità di aumentare il livello di competitività del paese, l’Italia ha un’occasione unica: trasformare il proprio patrimonio manifatturiero in leadership tecnologica, costruendo un software nazionale come asset strategico per la competitività futura. 

Storicamente, l’Italia è riconosciuta per l’eccellenza delle sue filiere produttive: manifattura, moda, vino, alimentare, design, meccanica di precisione, solo per citarne alcune.  

Oggi, queste competenze rappresentano un vantaggio competitivo naturale per una transizione digitale radicata nel “saper fare” industriale.  

Un software sviluppato in Italia non è soltanto una soluzione tecnologica: è un traduttore del linguaggio manifatturiero in intelligenza digitale. Comprende i processi, le logiche produttive e le peculiarità dei settori che costituiscono il Made in Italy.  La prossimità culturale e linguistica dei fornitori di software italiani garantisce soluzioni più aderenti alle esigenze specifiche delle imprese. Dall’altro, l’integrazione con il know-how industriale nazionale consente di sviluppare piattaforme digitali che non solo digitalizzano i processi, ma li arricchiscono, preservando le peculiarità che rendono il Made in Italy riconoscibile nel mondo. 

Un esempio, tra i tanti che potremmo citare, è rappresentato dai LIMS (Laboratory Information Management System), un software che garantisce, nei processi produttivi, tracciabilità, qualità e compliance - tre pilastri che qualificano la reputazione italiana nei mercati internazionali. Questo tipo di soluzioni nasce dalla capacità di chi sviluppa il software di tradurre un problema produttivo di filiere specialistiche (quali cantine vinicole, industria trasformativa di processo, laboratori di analisi) in una soluzione digitale fortemente verticalizzata che genera efficienza, tutela il “saper fare” italiano e lo proietta in una dimensione internazionale.  

Per rendere concreta la visione di sovranità digitale del paese è però necessario intervenire sul consolidamento del mercato lato offerta, sostenere la domanda e creare la condizioni di contesto a favore dell’ecosistema.  

Va superata la frammentazione e polverizzazione della offerta. È sicuramente positivo avere numerose realtà di eccellenza operanti in nicchie verticali, ma serve anche massa critica per: aumentare la capacità di investimento, rafforzare le competenze necessarie ad affrontare la crescente complessità tecnologica, accelerare la crescita.  

In questo senso vanno favoriti i processi aggregativi, soprattutto quando sono spinti da razionali industriali. In tal senso, il Private Equity può ben sostenere l’emergere di “campioni nazionali”, accelerandone i processi aggregativi, la generazione di sinergie e il processo di internazionalizzazione. 

Dall’altra parte, serve che anche che coloro che nelle aziende guidano le scelte tecnologiche non solo dedichino maggiore spesa alla digitalizzazione ma anche che valutino sempre con maggior favore le competenze nazionali. E questo anche relativamente all’uso di servizi professionali connessi: darli in outsourcing in paesi lontani non aiuta il rafforzamento della filiera. 

Per ultimo, serve fare sistema, ovvero favorire collaborazioni tra più soggetti per incentivare sempre di più la crescita di questa filiera rilevante dell’economia italiana. Sistemi finanziari, partnership industriali e politiche di incentivo all’innovazione devono convergere per creare un ecosistema che premi il talento e la capacità di scalare. L’obiettivo non è soltanto generare start-up brillanti, ma costruire campioni tecnologici in grado di competere con i colossi internazionali. Occorre un impegno corale: capitale privato, intervento pubblico e un dialogo tra industria e istituzioni.  

Parlo anche da CEO di Impresoft, gruppo interamente italiano, leader nella trasformazione digitale del “made in Italy”: il compito che ci assumiamo è quello di accompagnare le imprese italiane verso questa transizione. Sono convinto che il futuro delle nostre imprese dipenderà dalla capacità di combinare eccellenza industriale e intelligenza software.   

Olivetti insegnava che un’industria è grande solo se sa coniugare tecnologia e cultura. Oggi questa lezione vale più che mai: la nostra competitività dipenderà dalla capacità di creare un’industria digitale che non perda di vista le persone, i territori e il valore umano dell’innovazione. Il futuro del Made in Italy sarà scritto non solo nei codici del software, ma nei principi che li ispirano.